Ciao! inizia oggi la stesura di un nuovo resoconto. Riguarda Papua, meta del nostro ultimo viaggio tra agosto e settembre. Parlo al plurale perché non ero solo, ma in compagnia di Chiara, la mia meravigliosa ragazza.
Comunque, Papua è la metà occidentale della Nuova Guinea, ed ultima frontiera (ad est) dell’Indonesia, della quale fa parte. E’ un luogo ancora quasi del tutto incontaminato e ciò è ben visibile dall’alto, non appena la si sorvola in aereo. Foresta, foresta, foresta, fiume, foresta, fiume, fiume, foresta, baia, spiaggia, foresta etc. Questa è Papua. E’ come se fosse un Parco Nazionale, ma non lo è. Il suo territorio, infatti, ancora non necessita di protezione, è semplicemente disabitato e selvaggio! Ovviamente questo comporta delle difficoltà logistiche per i viaggiatori, ad esempio i grandi spostamenti. Le strade sono poche e ad un certo punto si interrompono, senza collegare le poche città principali, lontane fra loro. E’ quindi necessario affidarsi agli aerei. Noi ne abbiamo presi ben 12.
La prima parte della storia riguarda l’arcipelago delle Raja Ampat, a nord ovest di Papua. Un luogo stupefacente, che scavalca, in termini di bellezza, quel che risiede nell’immaginario collettivo di isola tropicale o barriera corallina. Qui la quantità di pesci e di specie sui fondali è inimmaginabile e il corallo è talmente presente che in alcune acque è impossibile nuotare, non ci si passa!
Carichi (anche in kg) e non troppo preparati, partiamo da Milano Malpensa il 21 agosto alle 19:45. Dopo due scali, uno ad Istanbul e l’altro a Jakarta, arriviamo a Sorong (Papua) il 23 agosto alle 6:00, fusi compresi. Fortunatamente siamo riusciti a sdraiarci e dormire durante le undici ore che collegano la Turchia all’Indonesia, ma siamo comunque stravolti. Qui sotto una panoramica del gate 5 del terminal C del Soekarto-Hatta, l’aeroporto di Jakarta. Il soffitto, estremamente interessante, mi ha dato da fare durante l’attesa del volo (n ritardo) per Papua.
Arrivati a Sorong, dal mini aeroporto dobbiamo raggiungere il porto, cosa che in qualsiasi altra città richiederebbe un taxi e un viaggio più o meno lungo. A Sorong no, i due distano un paio di chilometri e sono vicini al centro. Andiamo dunque a piedi, così da immergerci nella quotidianità papuana. Ovviamente ci guardano e salutano tutti; squilli di clacson, “Hey mister!”, “taksi” che ci affiancano per offrirci un passaggio etc. La quantità di gente e motori per le strade è elevatissima anche se sono le 6:30 del mattino. Gli indonesiani si svegliano molto presto come in tutto il sudest asiatico. L’alba è alle 5:45 e il tramonto alle 18:15 massimo, così pressapoco tutto l’anno. Dunque meglio godersi più luce possibile. Camminando per Sorong ci accorgiamo immediatamente quanto sia pericolosa a livello di infrastrutture; i marciapiedi sono alti 70 centimetri e spesso si interrompono di netto, riprendendo qualche metro dopo, tra un crepaccio e l’altro, costringendoci a scendere e salire di continuo, per la gioia di quadricipiti e polpacci. Le strade e le case sono circondate da buche e canali (le fogne), nei quali scorrono, insieme all’acqua, quintali di plastica e spazzatura. L’unico fiume presente è usato per portare questa spazzatura al mare. Come nel resto dell’Indonesia che ho visitato (ma qui ancora peggio), non vi è un vero piano per lo smaltimento dei rifiuti, dunque tutto è gettato o bruciato in strada, o peggio lanciato in acqua. Diventa persino complicato decidere dove gettare la propria di spazzatura, tant’è che ci tocca tenerla in custodia fino a che non ci apparirà un raro esemplare di cestino dell’immondizia. Dunque c’è da chiudere un occhio e dimenticarsi di questa enorme differenza con il mondo occidentale, per godersi il resto e il bello (perché di bello ce n’è!) del viaggio.
A tal proposito possiamo dire che Sorong è pure una città vivace e divertente! Uno scatto che lo dimostra:
Dopo circa un’ora arriviamo nei pressi del porto, ma non riusciamo ad accedervi; vediamo il molo, le imbarcazioni, ma non la strada che porta ad esso. Il traghetto per le Raja Ampat parte alle 9:00 e il tempo comincia a stringere. Nel frattempo finisco con la gamba destra in uno dei canali prima citati, procurandomi un buco allo stinco. Sanguinante cerco ombra allo scopo di medicarmi e la trovo di fronte ad un ufficio, i cui impiegati assistono sorpresi alla mia veloce applicazione di acqua ossigenata e cerotto, che lascia loro il ricordo di una pozza di sangue e schiuma proprio davanti all’ingresso. Proseguiamo chiedendo aiuto ad alcuni abitanti circa l’ingresso del porto; loro, invece di indicarci la strada pubblica più veloce, fanno di meglio, ci permettono di “tagliare” passando dai i loro cortili o da quelli dei vicini, ovviamente senza avvisarli… “Andate andate”, fanno cenno. Noi andiamo e, in effetti, dopo aver scavalcato diverse recinzioni tramite scale e scalette più o meno improvvisate, aver calpestato orti e aver incontrato una famiglia di maiali intenta a cibarsi in mezzo ad un cespuglio, arriviamo di fronte all’ingresso principale del porto. Anche qui la gente si dà un gran da fare…
Dopo aver preso i biglietti saliamo in fretta sul traghetto, scoprendo che, come succede per i trasporti pubblici di terra, si parte quando il mezzo è pieno, dunque gli orari difficilmente corrispondono a quelli delle tabelle. Comunque poco male, due ore dopo sbarchiamo a Waisai, città principale di Waigeo, l’isola più grande delle Raja Ampat.
Al porto di Waisai paghiamo la tassa di ingresso al parco marino e attendiamo che dalla famiglia che gestisce l’homestay Kordiris, sull’isola di Gam, con la quale siamo d’accordo per il pernottamento, qualcuno ci venga a prendere. Trascorsa un’ora spunta un barca con un uomo dalla pelle scura a bordo. Lavora per il Kordiris. L’imbarcazione è in legno robusto, lunga, stretta e scoperta, con un motore sul retro, al quale è collegata tramite dei tubicini una tanica rossa con il carburante.
Il tizio ci aiuta a caricare gli zaini al centro della barca, li copre con un telo impermeabile e ripartiamo. Eccitati, perché è finalmente l’ultimo tratto del lungo viaggio di andata, ammiriamo in silenzio il paesaggio che ci circonda, che si fa sempre più straordinario via via che ci sia addentra nell’arcipelago. L’acqua è piuttosto calma, il cielo è velatamente coperto, con il sole che si fa comunque sentire ed intravedere sopra le nostre teste. Il moto della barca aumenta la tiepida brezza, mentre all’orizzonte cominciano ad intravedersi numerosi isolotti, di svariate dimensioni, caratteristici di queste parti. Verdi, per la vegetazione lussureggiante che arriva a pelo d’acqua, e rocciosi, taglienti alla base, passiamo attraverso alcuni di essi prima di arrivare nei pressi del Kordiris. Qui la barca inizia a rallentare, l’acqua si fa sempre meno profonda e incredibilmente trasparente e si intravedono sotto la sua superficie vastità di forme e colori. Ci sono pesci e coralli ovunque. Non abbiamo mai visto un simile scenario e, in più, veniamo a sapere che la nostra sistemazione è un bungalow proprio su queste acque, collegato alla spiaggia da una passerella di legno. Un luogo che toglie il fiato.
La vista è spettacolare, da rimanere ore ad osservare, ma c’è un mondo, soprattutto sommerso, da esplorare! Sotto di noi passano aguglie e squali e, anche se meno visibili, sostano animali particolari…
Ora poche parole e qualche immagine dalla nostra esperienza di snorkeling e immersioni al largo delle isole Gam e Kri.
Una mattina, prima dell’alba, sentiamo bussare alla porta del nostro bungalow. Io sono a metà tra il pensare di sognare o meno, Chiara è invece più reattiva, così si alza e va ad aprire. E’ l’uomo che gestisce l’homestay, che con un cellulare in mano ci invita velocemente ad uscire e seguirlo… Capisco che è qualcosa di grosso. Mi alzo anch’io in fretta e furia. Una volta fuori sul molo mi accorgo di essere nudo, quindi indosso il costume appeso lì ad asciugare la sera prima e li raggiungo. Il tizio sta filmando qualcosa con il telefono e intanto indica entusiasta la superficie dell’acqua proprio di fronte alla nostra casetta: è un dugongo! Un DUGONGO! Un raro mammifero marino con il muso da leone marino e il corpo da delfino. E’ lì fermo a pancia in giù e si lascia galleggiare in superficie. E’ enorme. Ancora intontito corro a prendere la gopro per catturarlo, ma al mio ingresso in acqua si è già allontanato troppo per riuscire ad individuarlo. Nuoto come un matto per almeno dieci minuti, ma niente, se n’è andato. Intanto il sole sta sorgendo, il mare è mosso e l’acqua è piacevolmente tiepida. L’atmosfera è unica, ma il dugongo non c’è più. L’uomo ci dice che questo animale passa di qui solitamente una volta l’anno. Chiara, negli attimi in cui sono alla ricerca della mia gopro, riesce a vederne il muso che sbuca fuori dall’acqua, come a volerli salutare prima di andarsene.
Dopo tre notti a Gam, decidiamo di spostarci sulle isole Fam, all’estremità ovest delle Raja Ampat. Ho letto di bungalow in una bella baia, non lontani da un punto panoramico famoso, Pianemo. Vogliamo vederlo. Ma prima gustiamoci l’ultimo tramonto al Kordiris.
E’ la mattina seguente e subito ci accordiamo con la famiglia che ci ospita rispetto il trasporto alle Fam. Queste isole distano due ore di “fast boat” da qui e il tragitto ci costa abbastanza in termini di carburante, ma non vogliamo rinunciarci. Per loro si tratta di una gita fuori porta, tant’è che Lusi, la moglie dell’uomo che ci ha avvisati del dugongo, si aggrega con i figli, approfittando del viaggio per raggiungere il padre, che vive in un’isola non lontana dalle Fam.
A metà del tragitto il mare si fa grosso, la barca fa su e giù e noi dobbiamo aggrapparci dove possiamo per non volare in acqua. Intanto i bimbi dormono sereni, uno disteso su una delle panche, l’altro sul fondo dell’imbarcazione. Dopo un’ora e mezzo di viaggio, a 300 metri dall’attracco, la barca si ferma. C’è un problema ad uno dei due motori. Il ragazzo alla guida, fratello di Lusi, si stacca dal timone e si reca a poppa nel tentativo di ripristinarlo, intanto la sorella prende il suo posto davanti. Il mare continua ad essere mosso e la barca, oltre a fare su e giù. rotea su se stessa. I due lavorano e comunicano di squadre e risolvono il problema in breve tempo. Per fortuna, perché il mio stomaco mi stava suggerendo di tuffarmi e nuotare per il tratto restante. Ripartiamo e dieci minuti più tardi arriviamo al Pianemo homestay. Il luogo è incantevole, immerso in una baia tra le isole Fam, faraglioni rocciosi e taglienti di svariate dimensioni, che sbucano dalle acque blu. La baia è circondata da fitte mangrovie, da me sempre associate alle acque torbide dei fiumi tropicali, che qui invece condividono il mare con i coralli, rendendo questo ambiente davvero speciale.
Ci accoglie Aris, un giovane (non si sa quanto. E’ davvero complicato definire l’età di un papuano, in quanto solitamente dimostra almeno dieci anni in più) autoctono di poche parole (dovute alla scarsa abilità con l’inglese, che però si impegna ad apprendere dai turisti che sovente passano di qui) e dallo sguardo serio e accigliato. Scopriamo presto che è sufficiente mostrargli un sorriso, affinché risponda entusiasta allo stesso modo, quasi imbarazzato. Ci piace Aris.
Mentre scarichiamo i bagagli ci scappa l’occhio in acqua e ci accorgiamo di essere circondati da decine di squali! Sono della specie pinna nera, di piccole e medie dimensioni, attratti probabilmente dagli scarti di cibo gettati dalla cucina, ma non solo, penso io. Ciò che colpisce è che nuotano fino quasi a riva, spostandosi agilmente anche in venti centimetri d’acqua. Sono innocui e schivi, tanto da cambiare direzione e scappare alla velocità della luce non appena si accorgono di me in acqua. Di me? Sì perché se la prima cosa che faccio è scaricare i bagagli, la seconda è tuffarmi in acqua a fotografarli! Dopo numerosi tentativi, capisco che rimanere immobili è l’unico modo per avere qualche chanche di un loro avvicinamento e quindi ottenere una buona foto. Mi inginocchio nell’acqua bassa con le ginocchia immerse nel fondo fangoso, attendo che le particelle di terra alzate dal mio passaggio si sedimentino affinché la visibilità migliori e scatto a pelo d’acqua.
In serata chiediamo ad Aris di questo famoso punto panoramico, lui ci dice che dista solo quindici minuti, ma necessita di un tratto in barca. Si offre dunque come nostro accompagnatore per il giorno successivo, come ha fatto altre volte, per altri viaggiatori. Non credo, però, che nessuno gli abbia mai chiesto di svegliarsi alle 4:00 per essere in cima un’ora dopo, anticipando l’alba. Un altro dei motivi per cui Aris ci piace, è che a tale proposta rimane stranito solo per qualche secondo, dopodiché, deciso, ci fa cenno che si può fare.
Il mattino (notte) seguente ci troviamo (io e altri due compagni di viaggio francesi, Chiara preferisce dormire ancora un po’) alle 4:00 puntuali sul molo. Il cielo è coperto, brutta condizione per sperare in una buona alba, ma non si sa mai, soprattutto qui, “in Indonesia, dove le condizioni meteorologiche sono le più imprevedibili al mondo” (Cit. Serge, compagno di viaggio). Mentre sorseggio il caffè ormai freddo del giorno prima, ancora nel thermos, sento lo scoppiettare di un motore. E’ Aris, che con la sua barca è pronto per partire. E’ ancora buio ed ognuno di noi ha una torcia da testa. A proposito, quella di Aris vince per distacco in quanto a grandezza. Lo raggiungiamo sull’imbarcazione ed arriviamo all’attracco del view point poco dopo. Una grande e robusta scalinata in legno immersa nella foresta ci porta in cima. Le nuvole la fanno ancora da padrona, ma all’orizzonte si nota una piccola parte rosso tenue. Rosso che man mano si infiamma, regalandoci appena prima del sorgere del sole questo spettacolo…
Oltre all’eccezionale punto di vista sulla zona circostante, a quest’altezza si possono vedere le cime degli alberi popolarsi di specie di uccelli, che diventano via via più numerose all’aumentare della luminosità portata dal sole.
Gli uccelli non sono gli unici abitanti di queste parti…
Rientriamo all’homestay. Vedo Chiara in lontananza, seduta al tavolo, che sorseggia del caffè (caldo, stavolta). Non vedo l’ora di raggiungerla! Non ci siamo mai separati dall’inizio della vacanza e questa mi è parsa un’eternità.
L’homestay Pianemo è situato su una striscia di terra, che separa la baia di cui vi ho parlato in precedenza, ad est, da una spiaggia molto estesa, dai tratti tipicamente tropicali, ad ovest. Nella acque limpide e pulite che bagnano questa spiaggia è quasi impossibile entrare per via dei fitti coralli, ma ci si può rilassare sulla sabbia per godere dei tramonti a conclusione di una giornata di escursioni. Se le acque (e questo in tutte le Raja Ampat che abbiamo visitato) sono pulite e non inquinate, alcune parti dell’entroterra e alcune spiagge (come questa, ad esempio) sono purtroppo utilizzate come discariche “ordinate”. Ossia, plastica e imballaggi vengono disposti in lunghe file, lontane dalle onde, e lì rimangono, per giorni, mesi, anni, questo non lo sappiamo. Di sicuro, anche qui, nonostante si tratti di un parco marino, per il quale si paga una somma (piuttosto alta) per accedervi, sembra non essere presente un programma per lo smaltimento dei rifiuti.
Sono trascorse tre notti da quando siamo arrivati alle isole Fam ed è tempo di spostarsi. L’imbarcazione che ci deve recuperare da un’altra isola, però, tarda notevolmente. Questo non è propriamente un male, in quanto “ci tocca” un pranzo, non previsto, a base di pesce (appena pescato) alla brace, preparato dai proprietari per accogliere al meglio la Marina Militare indonesiana, di passaggio oggi sull’isola. Questo pesce, leggermente affumicato, è squisito!
Poco dopo il pasto, la barca arriva e ci prepariamo per una nuova destinazione. Nella foga, dimentico i miei sandali nel bungalow. Non riesco a smettere di immaginarli ai piedi Aris… Intanto io rimango con le sole scarpe da trekking.
Il prossimo step è il Corepen homestay, nuovamente sull’isola di Gam e non lontanto dal Kordiris. Qui ho in programma un paio di immersioni affiancato da Sandi e Maria, due eccellenti dive master, nonché proprietari dei bungalow e il dive center presenti. Kordiris e Corepen sono talmente vicini che per prenotare queste immersioni, qualche giorno fa, ho raggiunto il secondo a nuoto dal primo. Fantastico.
Al Corepen abbiamo l’occasione, oltre che di condividere bei momenti in superficie e in subacquea con brava gente, di partecipare ad un escursione all’alba nel tentativo di avvistare il raro uccello del paradiso, animale che vive solo in Nuova Guinea, rinomato e amato per le superbe colorazioni del piumaggio e le originali danze di corteggiamento che contraddistinguono gli esemplari maschili.
Per farlo ci incamminiamo, con due ragazzi del Corepen, in un sentiero in salita nella foresta, che in trenta minuti ci porta ad una specie di radura circondata da altissimi alberi, alcuni dei quali dovrebbero ospitare, per lo meno al mattino presto, l’uccello del paradiso rosso. Le specie di questa famiglia (Paradisaeidae) sono in totale una quarantina; le isole Raja Ampat ospitano le specie rosso e “di Wilson”.
Arrivati alla radura alziamo gli occhi al cielo con la speranza di avvistarne uno.
Cerchiamo di rimanere immobili per non calpestare rami e foglie secche, che potrebbero allarmare gli animali, e con la testa rivolta sempre verso l’alto, scrutiamo le cime degli alberi. I minuti passano, il collo inizia a far male e gli unici suoni che si sentono sono quelli degli uccelli in lontananza. Iniziamo a perdere le speranze, quando uno dei ragazzi che ci ha accompagnato sfoggia l’asso dalla manica. Tappandosi il naso, inizia ad emulare il verso della femmina con la bocca; un suono ipernasale breve, a cadenza di due al secondo. In principio la cosa ci fa divertire, smettiamo però di ridere quando ci accorgiamo che lo stratagemma funziona! Il ragazzo non solo attrae un uccello del paradiso rosso, che si posa in alto, proprio sopra di noi, ma addirittura l’animale si mette a danzare, aprendo le ali e arricciando le piume a forma di filo che si estendono dalla coda; il tutto mentre saltella e rotea su se stesso. Il rituale dura pochi secondi ma è incredibilmente sorprendente.
Non poteva concludersi in modo migliore la nostra settimana alle Raja Ampat, belle anche quando piove…
Grazie della visita. Commenti, apprezzamenti e condivisioni sono graditi.
Se volete approfondire, su Youtube ho pubblicato un video dedicato alla vita marina di Raja Ampat.
Eccovi il link https://www.youtube.com/watch?v=MfpNHcVO2uY&t=339s
A presto con la seconda parte del nostro viaggio a Papua, l’intenso trekking nella valle del Baliem!
Ciao!
Grazie di cuore per avere condiviso il report della tua avventura estrema in una terra tutta da scoprire (nel bene e nel male!). Le tue foto ed emozioni fanno emergere la voglia di partire con il solo biglietto di andata. Anche se – ti confesso – il tuo buco nello stinco mi ha fatto venire i brividi, sia per la fogna cui accennavi, sia per la medicazione precaria. In quanto alla plastica che è scaricata direttamente in mare, mi sento in colpa anche io, perché sono consapevole che si tratta di un “bel regalo” che il grasso Occidente, con la globalizzazione, ha fatto all’intero mondo, anche quello degli “innocenti”.
Un caro abbraccio! Nino
PS: attendo la continuazione!
Ciao Nino! Grazie a te per il commento tempestivo Sì, loro si arrangiano come possono per non averla sotto il naso, anche se a volte nemmeno ci riescono. Si nota proprio l’assenza di un sostegno (educativo e logistico) esterno.
…dimenticavo: Le foto sono tutte strabelle, ma la mia preferita resta quella del ragno sull’acqua, perché c’è la Natura, ma anche l’ingegno del ragno, la geometria che riproduce, il suo talento per sopravvivere. Grazie!
Pensa che quel ragno senza l’indicazione di Chiara nemmeno l’avrei notato!
Quel beau voyage au milieu de gens souriant et d’une nature éblouissante.
Ce fut un plaisir de vous rencontrer et de partager une partie de cette expérience merveilleuse. À bientôt!
Ho concluso la lettura anche della seconda parte. Foto uniche ed affascinanti. Io sono del parere che la bellezza della natura non possa essere colta ricorrendo solo alla mera strumentazione tecnica e all’esperienza professionale: la Bellezza vuole la Bellezza. E’ indubbio che tu, Marco, sia bravissimo, in maniera eccellente, nell’uso degli strumenti che possiedi; tuttavia penso che la bellezza di ciò che riesci a cogliere stia soprattutto nel fatto che sei “una bella Persona”.
Bellissime tutte le foto, indistintamente; però io preferisco quelle “antropizzate”, ovvero quelle che contengono qualcosa di animato (uomo o animale) o tracce di un intervento sulla natura.
La mia foto preferita è quella in cui il tuo compagno di viaggio, con gli in su, aspetta l’arrivo dell’Uccello del Paradiso; c’è tutto: la natura selvaggia, i piedi nudi, l’attesa, lo sguardo teso verso l’attesa, la curiosità…
Bellissimo trovo anche il fatto che gli orari “fissi” non esistano: anche questo è naturale e giusto, nel senso che l’urgenza di un solo individuo deve essere intercettata e correlata con altre urgenze.; cosa impensabile nel mondo ocidentale. La condivisione che passa prima del soddisfacimento personale.
Una risata quando nella cucina all’aperto di Aris ho intravisto una bottiglia di plastica con dentro liquido verde, probabilmente detersivo per piatti…!
Ancora grazie per le emozioni che regali con i tuoi scatti. Complimenti!!!
Ciao Nino, grazie per i tuoi commenti piacevoli e articolati. Sì, era sicuramente detersivo!
Ciao,
Grazie per aver condiviso il tuo bellissimo viaggio. Mi piacerebbe davvero moltissimo andare al Kordiris, te hai un loro contatto?
Ciao Agnese, grazie per il commento! Questo è il numero di telefono di Lusi, la proprietaria del Kordiris. +6285244124338 puoi usare wapp, anche se la rete mobile lá va e viene, dunque può passare del tempo tra domanda e risposta. Se necessiti di altre info chiedi pure. Ciao!